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Michele Arnaboldi, 1953-2024

Michele Arnaboldi, 1953-2024
Foto di Chiara Tiraboschi

La generazione di architetti nati in Ticino negli anni Cinquanta ha vissuto una condizione contraddittoria: se, per un verso, ha fruito della risonanza internazionale suscitata dai maestri della generazione precedente e del loro magistero (che non di rado si è tradotto in rapporti di collaborazione intensi e fecondi), per un altro ha subìto l’inevitabile confronto e la presenza pervasiva di quegli stessi maestri. Michele Arnaboldi è stato uno dei maggiori rappresentanti di questa generazione e in una recente intervista aveva manifestato le difficoltà di questa particolare condizione, oscillante tra il rimpianto per le occasioni professionali sfumate per il predominio di quei maestri e la gratitudine per il sostegno offerto da personalità come Luigi Snozzi e Dolf Schnebli (ma anche Aurelio Galfetti, a cui Arnaboldi attribuiva la sua chiamata all’Accademia di architettura di Mendrisio).

Con Schnebli e Snozzi Michele Arnaboldi si era diplomato nel 1979 al Politecnico federale di Zurigo, iniziando con il secondo una collaborazione decisiva per la definizione del proprio approccio progettuale. In quel giro di anni lo studio di Snozzi stava attraversando una profonda riorganizzazione, dopo la partenza di un collaboratore importante come Walter von Euw, e Arnaboldi vi ebbe un ruolo rilevante insieme a Raffaele Cavadini. È in quella occasione che si venne saldando la collaborazione tra questi due architetti, fondata su una perfetta intesa e su apporti complementari, per indole e formazione, che li portò a vincere numerosi concorsi e a conseguire fama internazionale aggiudicandosi il Masterplan di Expo 2000 ad Hannover (poi realizzato non conformemente al loro progetto). Al magistero di Luigi Snozzi, interpretato in modo originale, Michele Arnaboldi deve l’approccio “territoriale” che connota la sua architettura, l’attenzione alle caratteristiche specifiche e al “potenziale” di un luogo, che il progetto deve riconoscere e disvelare, la preminenza accordata al disegno degli spazi pubblici, l’uso ricorrente (ma non esclusivo) del cemento armato a faccia vista. A questi caratteri, manifestati esemplarmente da una delle sue prime opere, la Banca Raiffeisen ad Intragna (inaugurata nel 1999), si aggiunge l’attenzione alla luce naturale, intesa come strumento per misurare il tempo e generare una percezione dinamica degli spazi (soprattutto quelli domestici: non a caso era solito paragonare le proprie case a “meridiane” incardinate alla topografia attraverso un axis mundi generato dalla luce). I suoi riferimenti, tuttavia, spaziavano oltre l’architettura (con una perdurante attenzione a Le Corbusier) includendo, ad esempio, l’opera dello scultore basco Jorge Oteiza, conosciuto grazie a un caro amico, l’architetto catalano Lluis Vives, incontrato durante l’insegnamento impartito nel semestre invernale 1995-1996 alla Washington University di St. Louis. Quest’ultima circostanza introduce un altro aspetto cruciale dell’opera di Michele Arnaboldi, vale a dire la sua prolungata attività didattica, svolta dapprima come assistente di Dolf Schnebli al Politecnico federale di Zurigo (dal 1982 al 1993), poi, dopo la breve parentesi americana, come docente (dal 2002) e professore ordinario di progettazione (dal 2009 al 2023) all’Accademia di architettura dell’Università della Svizzera italiana, dove ha diretto il progetto di ricerca PNR65 “Spazio pubblico nella Città-Ticino di domani” e dal 2014 il Laboratorio Ticino, coltivando, con i propri studenti, quell’approccio a scala territoriale che qualificava la sua opera e in cui riconosceva un tema cruciale per l’architettura contemporanea, come dimostra la recentissima vittoria (insieme a Gaggini Studio di architettura) nell’importante concorso per il nuovo Ospedale regionale del Sopraceneri.

Ci ha lasciato il 20 marzo 2024, alle porte di una triste primavera.

Nicola Navone